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Probabilmente era un martedì

Alle 07:02 era ancora completamente immerso nel sonno.  Le braccia sopra la testa, il lenzuolo aggrovigliato alla caviglia destra, una spalla piegata in un modo che sembrava chiedere aiuto. La bocca era socchiusa, il respiro profondo, regolare. Ogni tanto, un tic all’alluce sinistro - come un riflesso lontano, automatico, che apparteneva a un altro. Fuori, l’estate si era appena ritirata, come un ospite che ha finito le parole. L’aria del mattino, sottile e nuova, cominciava a lasciare impronte sulla pelle. Il verde, fino a pochi giorni prima sfacciato, sembrava essersi stancato di esistere. Probabilmente era un martedì. Perché, come ogni martedì, arrivarono i suoni del vetro nei cassonetti: acuti disordinati, prolungati, familiari. Il netturbino che li causava aveva l’andatura di chi si è svegliato troppo spesso senza motivo. Alle 07:06, il corpo di lui si mosse appena, quasi impercettibile. Un adattamento istintivo, privo di coscienza. Il lenzuolo scivolò, lasciando scoperta la s...

Litanie lucide

Vacuo vuoto voga invano Tra un sifone un soffio e un soave sfondo Turbinio turgido trattiene turba tarpa Conquisto il palco placando parte del parco su cui un porco sporca e spurga Davanzali appesi davanti al divano davano danze devastate di doni Fango fuso frana finché franano fauci fredde Fruga fuoco fra ferite fittizie, fumo, frastuono Fenditure fameliche fra fianchi feriti e funghi fradici Flussi falsati flettono foglie, fuoriescono, fuggono Lama lorda lambisce lacrime, lenisce lubrifica Labbra liquide languono lentamente lungo letti Lepri lese lanciano litanie lucide, livide Lame legate levano lodi a lutti lievi Croste crude crepano cuori con cunei colmi di catrame Crollano corpi curvi contro culle calcinate e cieche Chiavi chiuse chiudono chioschi, chiodi, ceneri, chiamate Canta cenere con corde crude, cova conflitto, cola confine Rombi rotti ruggiscono roghi, rovesciano ricordi rigidi Rotoli rarefatti raschiano rughe, respiri, riflessi Rasoio ardente che raschia rami e ruba resi...

Altra Me

Un elastico lento intorno al polso. Un rumore d’acqua in una stanza vuota. La curva di una spalla, vista da dietro, senza chiedere permesso. Una forchetta dimenticata nel lavandino. Il cotone che si lascia sfilacciare dalle maglie di un orologio accelerato. Tre parole non dette, rimaste sul bordo, tra le sopracciglia e il pavimento. Un fazzoletto che scivola fuori dalla tasca in cerca di polvere. Una bocca che sorride chiusa, senza movente, compiaciuta del suo stesso tatto. Un orlo scucito, tra un gradino e l’altro. La luce del frigo che illumina un vecchio di passaggio in strada col suo cane zoppo. L’odore di qualcosa che sa di aperto. Una finestra accesa in una casa non tua. Le mani sciupate da una luce stroboscopica. Un battito d’occhi lasciato andare lontano in valle. Una domanda che ha dimenticato il punto. Una piastrella spostata appena. Una pausa tra due traiettorie di cielo. Un pensiero che si siede accanto, in silenzio, fissando lo scolo di un tetto. “Ci sono giorni in cui tut...

Veliero pirata

Odori umidi di sera,  una sedia spostata appena, l’eco di un vetro che tocca un altro vetro, colori tra le briciole del vento spigoli acuti e tondeggianti nella fronte e sulle tempie. Hai preso l’acqua? Corpi lavati male, polsi dimenticati sui bordi dei tavoli, fianchi che cercano senza spingere bandiere issate tra le gambe come fossero alberi di un veliero pirata. Non lo so, il cielo aveva un colore stanco. E la crema? Luce bassa, bocche socchiuse che non hanno più niente da dire ma ancora da sentire. Segue il passo lasciato cadere su un sentiero sterrato divorato dalle zanzare. L’ho vista sul gin tonic. Sicuro che non stesse piovendo? Un caldo che non pesa, solo si aggroviglia  sulla clavicola, nell’incavo dietro l’orecchio, dove l’aria si fa lenta e qualcuno ha già pensato a restare. Qualcuno è arrivato, ha aperto e chiuso la porta, e poi l’ha verniciata. Non credo fosse un ponte. Chi ha acceso le luci? Cose che non hanno luogo, ma passano. Come l’acqua sotto i cavalcavia, ...

Senza pubblico

Portarsi a casa. Portarsi fuori. Portarsi a tavola. Portarsi a letto. Come fossero rituali antichi, gesti che si ripetono senza chiedere il permesso. Accudire l’invisibile. Offrirsi da bere. Quanto pesa il peso delle tue intenzioni? Quando ti avvicini, ti stai caricando o ti stai liberando? Conoscersi non per darsi un nome, ma per restare intatti attraversando cortili silenziosi, dove i muri sono scritti d’affetto e le ombre non fanno paura. Sapersi. Nel disordine della notte. Ridersi addosso come fa la luce alle cinque, piangersi accanto come fa la pioggia sui vetri, guardarsi in faccia come fanno i sogni prima di svanire. Portarsi.  Come si porta una soglia,  come si porta un nome che ci ha scelti. E poi c’è chi si porta in tasca tutte le partenze che non ha mai fatto. Si siede accanto a sé stesso senza rumore, si cucina un silenzio, si apparecchia la pelle. Lascia che le cose gli parlino piano, in un’altra lingua, che i muri si addormentino, che le ore si stendano come lenz...

Campiture

Quadri negli occhi che colano fino a sotto l’equatore. Mutevoli e intatti, negli anni, nelle stagioni. Restano lì, nel bianco, a scorrere. Linee, angoli, campiture. Non si fermano. Sono fitti i pensieri, senza ordine e senza fretta. Morbida è la bocca, annaffiata di saliva, vino e risa. A tratti si apre appena, come per tenere qualcosa dentro. Gli occhi si spostano, si distraggono, poi tornano. Si segnano tra le sopracciglia che spingono senza intenzione, solo per inseguire un tono, una variazione, un gesto piccolo sul bordo. Nulla è fisso. Ma si lascia attaccare. Sfumano, si sporcano, si lavano senza sapone. Come se bastasse stare fermi per diventare leggeri. “Tutto ciò che è profondo ama la maschera.”  -  Friedrich Nietzsche