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Non era un marinaio

Foreste di foglie semplici, fatte di venature sbiadite, confini stropicciati e sporcizia, di quella che puzza anche per gli occhi. Unghia finte impigliate alle palpebre, impagliate alla bocca, radici marce, alito che canta di sirene. Non era un marinaio ma era il vento, le correnti, l’abisso, e l’orizzonte intero. Teneva la cima in mano come fosse un filo di cotone, aveva grandi mani e forti, aveva il mondo addosso, le sue sponde, le sue lingue. In uno spazio immemore c’era più sangue che al macello, e lo conteneva tutto anche quello che poteva servire agli altri. In grandi anfore verdi, destinate a straripare. Un tuono un’onda una scheggia di cielo ne creparono il volto, chiese aiuto per issare le vele, prese il largo, e non lo videro mai più tornare. Non prendere alla leggera il male che fai, pensando che non ti tocchi. Una brocca si riempie d’acqua che cade goccia a goccia. Non prendere alla leggera il bene che fai, pensando che non ti tocchi. Una brocca si riempie d’acqua che cade ...

Senza preghiere

Al timone di uno specchio, guardo dentro, è addosso, abbaglio e spengo. Ci sono il lobo che sanguina di saliva, una spalla tesa e uno scoiattolo che nuota. Appoggio i piedi uno alla volta e poi tutti insieme, e poi uno a metà, che esita a lasciar lo spazio ai gomiti.  Senza polvere che fa allergia, senza odori che fan nostalgia. C’era un campo molto arido a confinarne le marce, aveva gialli di sfumature focose, ombre e pezzi di pane, come se non fosse mai bastato. In un chilometro a piedi potevi calpestare anche le sue molecole senza sentirne fiato, senza grida, senza preghiere. Un inno al silenzio, che quando fa rumore, tace. “ Si deve avere un amico invisibile a cui parlare nelle ore silenziose della notte e durante le passeggiate nei parchi. ” Khalil Gibran

Sbattuto in faccia

Si appoggiava con la spalla ad un muretto, con una posa da playboy nello sguardo, e contava i passanti. Aveva fame, di ombre, di cemento, di luce, di futuro. Guarda fuori, guarda dentro, guarda me, guarda te. E tutto il resto, e tutto resta. Sbattuto in faccia come quell’ombrello rotto, come quel telefono in attesa. Un filo consunto dal suo stesso ago, che aveva già intessuto tele di ragno e ne aveva assaporato banchetti. C’è tutto questo tramonto sul giorno che è già alba. Tutti i colori cambiano un secondo dopo l’altro.  Quanto spazio troppo spazio regolato dalla ragione che ha più potere di qualsiasi droga. Che si appoggia con ali di farfalla sull’asfalto ruvido e lo incendia di leggerezza. Lasciami fare, lasciami restare, lasciami andare. Prega le religioni che conosci affinché ti diano tregua, prega i fiumi affinché scorrano, i venti affinché soffino, il mare e i cieli affinché ti accolgano, nuda, graffiata, col sale in mano e sulla bocca. Che sia il tempo il maestro di quell...

Qualche goccia di sudore

Sottile e aculeo infilzato tra le parentesi formate dalle labbra, giù in fondo, fino allo sterno, su in alto, fino all’ultimo pensiero evaporato. Quando il vecchio gli tese la mano, lo prese a braccetto e smise di zoppicare, non fu molta la strada che percorsero assieme, ne fu eterno il lascito. Non bastarono che due fari fissi puntati nell’anima, e sette parole seminate sui confini della sua terra.  Prese quel treno e ci mise dentro di tutto, dai calzini puliti, alla tivù spenta, dai lavandini a muro agli stipiti della porta, ci mise qualche goccia di sudore, una manciata di conforto, sei cucchiaini di dubbi, e quel quanto basta di rughe d’espressione. Prese quel volo senza niente di ricambio, in verticale sul filo blu, non portò la bici e nemmeno fece caso al phon, in tasca c’era spazio per l’intero stomaco e un accendino. Prese quel sogno e lo accartocciò, per non vederlo in tridimensione,  per non impilarlo né impiccarlo, lo fece tondo e liscio e gradevole al tatto, così d...

Mignolo sinistro

Come ti piace? Freddo o macchiato? Liscio? Dipende. Potrebbe piacermi tutto, scrivilo, leggilo. Leggero. Calpesto strade ondose, di lentezza, e di polveroso ansimare che sa di muffa. Bianco cuore liquido di molteplici forme e primavere. Ti vedo sbattere, sbatterti, di abbattuti battiti. Ti vedo scalfire, scalare e incalzare nei tempi turgidi del tuo navigare. Quel blasfemo spigolo su cui avevi appoggiato lo sguardo, sarà il trono da cui enumerare i mignoli del piede sinistro che lo hanno schivato. In prospettiva quell’uomo aveva visto il mare, ma le sue mani erano così piccole che uscivano anche dalle tasche dei jeans. Non si può morire di povertà più grande, che di quella di non avere spazio per contenere il mare. “ Il vero è ciò che arde ” - Rainer Maria Rilke

Affogò

Rumori forti e colori ciechi, sussultano i grumi di stomaco attaccati alla gola.  Troppa saliva scendeva sui fianchi e sui pori arrossati. Agonizzando affogò nel suo stesso liquido. Scodinzolava come in preda a un eterno attimo di gioia, senza far caso al pendolo, manipolato dalla sua stessa ingenuità.   Ad occhi schiusi in cerca di aiuto. A cuore crepato da cui usciva una luce.  Tempo guidato dalla razione che trovava colori inventati e li vestiva di sembianze contorni futuri. Li aveva addobbati, profusi, sfidati, ne aveva fatto tutto ciò che non c’è. Tramonti albe e piovosi cieli, tra granelli di sabbie lontane, rumori antichi, ed indimenticabili infiniti. Trascinò i mari, i mattoni, i pensieri, ed affogò stanco in quei desideri.  Fecondo il tempo,  che tutto d’un tratto finì. Ti ci vorrà una vita prima di incontrare qualcuno che ti capisca e ti accetti per ciò che sei. Alla fine, scoprirai che quel qualcuno eri tu . - Richard Bach

Lascia che niente

Tocca sfiorando il fondo che diventa aureo nei battiti Che se li guardi dentro bagnano le sponde degli organi più reconditi del tuo sentire Che se li guardi fuori si ritraggono come i granchi nei buchi della sabbia Che se li guardi forte rispondono come i fuochi d’artificio a ferragosto e allo stesso modo evaporano Che se non li guardi proprio si sciolgono come le sigarette nei posaceneri e fanno puzza Mangia come le labbra disinibite fanno con un sugo buono Mordi come vicino all’osso il gusto più succulento della carne anche quando il grasso diventa croccante Graffia cercando vongole sulla battigia Lascia che manchino il respiro, i battiti, gli sguardi, i denti, le unghie Ma che nulla sia stato lasciato “ E se diventi farfalla nessuno pensa più a ciò che è stato quando strisciavi per terra e non volevi le ali .” - Alda Merini

Entrare

Senza chiedere permesso, senza senno del come creare l’abitudine, senza sapere con certezza quale sia quella più vicina. Novità, curiosità, accoglienza. Calpestare linee nuove, o schivarle, o incastrarci la misura del piede, a terra e negli orizzonti. Nuove curve al mattino per raggiungere il caffè, nuove tonalità di voce per superare le pareti. Intimo spazio che annuisce e osserva senza giudizio alcuno, ginocchia piegate a un sudore che sa di primavera, di olfatto, e di pergole pregne di un lungo inverno. Benvenuta in questa vita, nuovità . 

Libellula

Lieve Ali di libellula E di aeroplano  Scarpe di tela E di lenzuola  Audace Sapore piccante E di zenzero Scale salite a due per volta E di onde Infinito Orizzonte al tramonto E inverno Profumo di pini E deserto Il corpo della libellula è esile, ma attraversa ballando la tempesta. (Proverbio giapponese)

Pindariche

Cinico moto mutevole perpetuo scheggiato solido fluido aereo allo stesso tempo, in un tempo specifico in molteplici tempi stempiati. Come la schiuma sul fronte dell’onda che partorisce il frutto più intimo della sua memoria storica. A tratti inganno, a punti fermo, a linee alto, dispiega il perpetuarsi simultaneo di complessità pindariche. C’era un uomo seduto sulla banchina che scuoteva la testa e si toccava il polso cercandone il battito. L’ho visto e poi l’ho guardato. Aveva i capelli stanchi e i talloni vigili. Indossava un dolcevita giallo e una giacca di cera blu. Sciolto dalle luci dell’alba non faceva altro che scuotere la testa, toccare il polso, dondolare i talloni. E poi mi guardò. Quando la luna si avvicina troppo alla terra, fa impazzire tutti. -  William Shakespeare