Probabilmente era un martedì

Alle 07:02 era ancora completamente immerso nel sonno. 


Le braccia sopra la testa, il lenzuolo aggrovigliato alla caviglia destra, una spalla piegata in un modo che sembrava chiedere aiuto. La bocca era socchiusa, il respiro profondo, regolare. Ogni tanto, un tic all’alluce sinistro - come un riflesso lontano, automatico, che apparteneva a un altro.


Fuori, l’estate si era appena ritirata, come un ospite che ha finito le parole. L’aria del mattino, sottile e nuova, cominciava a lasciare impronte sulla pelle. Il verde, fino a pochi giorni prima sfacciato, sembrava essersi stancato di esistere.


Probabilmente era un martedì. Perché, come ogni martedì, arrivarono i suoni del vetro nei cassonetti: acuti disordinati, prolungati, familiari. Il netturbino che li causava aveva l’andatura di chi si è svegliato troppo spesso senza motivo.


Alle 07:06, il corpo di lui si mosse appena, quasi impercettibile. Un adattamento istintivo, privo di coscienza. Il lenzuolo scivolò, lasciando scoperta la schiena. Una ciocca di capelli - trascurata, disordinata - gli finì sulla bocca. Restò lì.


Tutto, nella stanza, sembrava trattenere il fiato. Il bicchiere d’acqua, il libro aperto sulla stessa pagina da giorni, la polvere che galleggiava immobile nel cono di luce.


Poi un tonfo al piano di sopra. Sordo, rotondo. Impossibile da ignorare, difficile da interpretare.


Alle 07:09, una mano scivolò sul bordo del letto. La pelle segnava ancora il passaggio del sonno, una linea rossa che sembrava lasciata da un altro tempo.


Alle 07:10, aprì gli occhi. Non di scatto. Non per paura. Li aprì come si aprono certe stanze: con cautela.


Il soffitto lo accolse con la sua solita indifferenza. Ma c’era quella crepa. Quella piccola fenditura che partiva da un angolo e curvava a sinistra, come l’inizio di una lettera rimasta in sospeso. L’aveva notata altre volte, ma quella mattina sembrava più chiara. Più intenzionata.


Alle 07:12 cominciò un gocciolio. Lieve. Ritmico. Non abbastanza forte da dare fastidio, ma abbastanza costante da insinuarsi.


Poi un “tic”, secco e netto, venne dal cassetto più in basso della scrivania. Nessun movimento. Nessun alito d’aria. Solo quel suono.


Lui rimase fermo. Il respiro appena più corto.


La luce si allungava lentamente sul pavimento, come se stesse cercando qualcosa.


E la crepa, nel soffitto, sembrava aver cambiato forma. Solo di poco.

Quanto basta per somigliare a una risposta.




“Non sempre ci svegliamo dove ci siamo addormentati. A volte è solo il corpo a restare.” - A.M.

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