Collezione di sassi
Ho domato il vuoto con un pieno costante, fatto di cicale, orizzonte, strade sterrate.
Fatto di pensieri a tutto volume, da impiccare le tempie.
Mi sono portata a pranzo sul mare, pieno di tavoli, senza rumore.
Fatto di pensieri a tutto volume, da impiccare le tempie.
Mi sono portata a pranzo sul mare, pieno di tavoli, senza rumore.
Ho messo lacrime ad essiccare, per conservarle come monito, tra la mia collezione di sassi.
Ho contato i miei respiri come si fa con i passi in salita.
Mi sono inchinata a una foglia che tremava da sola, senza vento.
Ho lasciato andare il bisogno di chiedere spiegazioni, come si lascia andare un aquilone quando il filo taglia le dita.
Non ho detto niente a nessuno, ma ho scritto frasi dentro i muri del petto.
Frasi che non chiedono risposta.
Frasi che sanno aspettare.
Ho sentito il cuore fare il suo mestiere:
tenere, battere, resistere.
Anche senza applausi.
Anche nel silenzio pieno delle cose vive.
Ho camminato in direzione ostinata, anche senza meta.
Ho dato del tu all’ombra, e del lei al dolore.
Mi sono seduta accanto alla mia stanchezza e le ho offerto una pesca.
Era matura, morbida, sfacciatamente dolce. Come la tenerezza che non sapevo più dove mettere.
Ho fatto spazio.
Ho lasciato entrare il niente e l’ho chiamato con nome e cognome.
Ho acceso candele a metà pomeriggio, senza bisogno di buio. Per ricordarmi che si può creare luce anche quando non serve.
Ho raccolto parole a testa bassa, come chi cerca conchiglie rotte.
Quelle che sembrano inutili, e invece raccontano.
Ho accarezzato il mio stesso polso per vedere se mi fidavo.
Ho sorriso, poco. Ma era un sorriso mio.
E poi ho atteso.
Non qualcuno. Non qualcosa.
Ho atteso me.
“Scritto nei giorni di risacca. Quando sembrava che niente volesse parlare, ma tutto diceva qualcosa.” - A.M.