Se

Se stessi qui in ginocchio, sulle mani, con i capelli bagnati e il sangue sulle unghie, con la gola spezzata, la schiena dura, gli occhi cementati e le braccia conserte.

Se respirassi in apnea, avessi il collo capovolto, la saliva abbondante, i piedi freddi, il petto crepato e la voce tagliata.

Se dagli occhi uscissero draghi, dai denti digrignati potessi solo mordere, dai gomiti mi parlassero gli dei, dalle ginocchia i demoni.

Se un grido fosse più acuto di un’ambulanza, una risata più costruita della muraglia cinese, un fiato più profondo della bocca del mondo.

Se ad ogni passo si bucasse il cemento, ad ogni capriola cadessero le stelle, ad ogni preghiera uscissero cavalli imbizzarriti da ogni recinto.

Se un sorso d’acqua cambiasse il colore della mia pelle, ad ogni lettura si aggiungesse una costola al mio petto, ad ogni lacrima si costruisse un ponte terreno.

Se ci fossero lingue tra le mie ciglia, uragani tra le mani, tacchi alti sotto al mio seno, elicotteri tra i capelli.

Se il giorno finisse al posto di iniziare, la terra fiorisse in ogni emozione, il pane fosse frutto della pioggia.

Se. Solo per un attimo.

Se. Potessi. Essere. Creatore. Di. Luce.





L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
Italo Calvino


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