Foglio bianco per me

Oggi va così.

Avere un foglio bianco davanti a sé e non avere nulla in agenda. Non c’è un orologio, non ci sono urgenze da gestire, decisioni da prendere, persone a cui dare supporto offrendo punti di vista e spunti affinché crescano professionalmente, appoggio, ascolto attivo. Nessun riempimento. Il tempo senza secondi.

Avere un foglio bianco davanti a me ha quasi sempre avuto una finalità ben precisa: comunicare qualcosa a qualcuno. 

Professionalmente con il tempo ho appreso l’importanza del contenuto di un’e-mail. Dall’incipit, che può assumere forme e modalità personali, purché apra il palcoscenico in modo gentile, alla richiesta, chiara e specifica, che includa il contesto dal quale arriva, e che sia assertiva, per poi concludere con un’italianissimo “Ciao” - virgola, a capo - “Stefi”.

Ho imparato la chiusa dal vecchio Chief Marketing Officer di Acer. Lui era tedesco, e mi affascinava il fatto che chiudesse così le sue e-mail. Aveva sapore di sicurezza e cordialità, quasi informale. Prima di lui usavo “Un caro saluto”, che mi sa tanto di zia, era decisamente da svecchiare.

Personalmente, a parte questo vecchio blog che era come un migliore amico - e i veri amici restano anche quando non hai voglia di parlare - e al quale mi piace rivolgere pensieri mentre non penso, dicevo, a parte il blog, ho sempre ambito a comunicare per iscritto i miei pensieri a qualcuno, in modo scherzoso con le rime, come il mio papà che in questa modalità riesce sempre a celare grande affetto e romanticismo, ma lo smorza portando l’attenzione sul virtuosismo delle parole, e rubando un sorriso ad ogni paragrafo. A comunicare per iscritto l’emozione che affoga nel pianto ma che non si può portare al verbo parlato senza prima averla partorita nel silenzio, come è stato per l’elogio funebre alla mia amata nonna. A comunicare piccoli e grandi messaggi di affetto, sui post-it, sulla tela, nelle lettere consegnate e in quelle mai date.

“In questa urgenza di vivere, e furia di sentire, so di esistere”.

Tra il petto e la giugulare ed all’altezza del diaframma a tratti mi sento sopraffatta. Come avere un albume d’uovo che continua a montare e spinge da dentro. 

Non passo mai molto tempo davanti allo specchio, mi imbarazza, preferisco guardarmi nelle foto e vedermi cambiata nei modi, nei capelli, nei segni del tempo, e riconoscere benissimo le declinazioni che ciascun sorriso ha, inclusi quelli forzati, quelli che amano, quelli che scoppiano, quelli che sono a disagio, e quelli che devono avere un ruolo.

Spero di avere la maturità di fare il tempo, e di farlo bene, senza fretta di farlo, senza pigrizia di aspettarlo. Con immensa gratitudine per chi è accanto al cammino emotivo che sto facendo per più motivi palesatesi nel corso di questi mesi.

Riprendo la mia penna, voglio tornare in me.


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