E tu, l’hai mai visto il mare?

“E tu, l’hai mai visto il mare?”

Aveva più o meno cinque anni, gli occhi accesi di una giovane primavera, i capelli chiari e le labbra a cuoricino, le guance pacioccone che richiamavano il sorriso e i baci. Per non dire i morsi, perché in fondo quando i bambini sono belli, chissà perché ti viene voglia di dire che gli mangeresti i piedoni, le guanciotte, e le cosciotte. Non c’è nessun pensiero macabro ovviamente, siamo fatti così, col “ti mangerei” diamo vita al profondo amore, come se si ancorasse proprio lì in fondo, dove sta il piacere primario, il morso, ti mordo, ti mangio, ti voglio primordialmente possedere in bocca, nello stomaco, nel cuore.

“Sì” - risposi - “l’ho visto molte volte, il mare, in qualche modo posso dire di esserci cresciuta, al mare.”

Ho quasi quarant’anni e ho visto molti mari, ma sono cresciuta vicino al mare Adriatico e vantarmi oggi di essere “cresciuta al mare” in qualche parte di me stride con il senso di libertà che altre esperienze mi hanno strappato. Eppure, ho trascorso tre mesi all’anno ogni anno in quelle spiagge, e solo poi ho capito cosa significhi non avere il mare sempre, il mare con la pioggia, d’inverno volendolo in dieci minuti, la bici d’estate per tornare a pranzo a casa e poi rincorrere l’orario giusto per giocare con i ragazzi in spiaggia a calcio o a racchettoni. Pure quella era libertà. C’è questa abitudine nel ravennate di comprare addirittura la casa al mare, distante quindici chilometri dalla casa principale, perché si cambia stagione completamente, si cambiano le abitudini, ci si trasferisce a quei dieci-quindici minuti di auto per godersi l’estate, ci sono proprio gli armadi già pronti con le cose che servono per la spiaggia senza dover tenere tutto negli stessi armadi della “vita lavorativa” o di quella scolastica.

“Ma il mare, com’è fatto?”

“Dipende, piccola, il mare è fatto di quello che ci vedi tu. Immagina il cielo, lo vedi, guarda” - scostando la tenda per mostrarle il cielo - “ora dimmi, com’è fatto il cielo?”

“È azzurro, oggi, e laggiù c’è una nuvoletta bianca che sembra una caramella.”

“Continua, hai detto che oggi è azzurro, come lo hai visto altre volte? Cosa ci hai visto?”

“Beh, c’era tutto scuro con i lampi una volta e faceva anche paura perché si sentivano i tuoni, non c’erano le caramelle e la mamma è venuta vicino a me perché avevo paura, aveva coperto il sole e pensavo di non poter giocare più al parco. Quando il cielo si arrabbia io non posso giocare e a me non piace quando fa così.”

“Ecco il mare è così, come il cielo, ma più denso, anche il mare ha il suo carattere e i suoi segreti, è in continuo movimento a volte lieve altre volte impetuoso e spaventoso. Dipende da te cosa metterci dentro al mare, contiene tutto, paura odio solitudine speranza, e poi quando si arrabbia il mare è davvero grande e forte, più del tuo papà e di tutti noi. Il mare fa bene al cuore, fa divertire, fa sfogare, ti ci puoi tuffare o puoi accarezzarlo lì dove bacia la terra. Dipende da te cosa vedi nel mare, quando sarai grande mi racconterai com’è il tuo mare.”

“Ok. Ma io sono già grande.”

“Hai ragione, mi sono espressa male. Facciamo così, quando avrai la tua prima delusione, cioè un fidanzato o fidanzata che non ti vuole più bene, oppure un momento di confusione perché non sai quale decisione prendere andremo al mare insieme, e mi racconterai il tuo mare. Lo vedrai molte volte prima e dopo, ma quando sarai triste la prima volta ricordati di chiamarmi così verrò con te a scoprire il mare.”

“Va bene. Adesso fai il cavallo e io salgo su e giochiamo?”



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