Piccoli passi.

Fino a qualche mese fa, e per lungo tempo, avrei difeso con molte argomentazioni il fatto che la pazienza fosse la virtù per eccellenza. Avrei affermato che il mio più grande pregio fosse proprio questo. Che tra le infinite debolezze, quest'orgoglio, mi avrebbe fatto sempre brillare.

Non mi sbagliavo, allora. Ma come tutte le cose, anche i nostri pregi, così come le nostre mancanze, vanno contestualizzati. Pesi e contrappesi. Misure. Circostanze. Sopravvivenza.

Oggi credo che la pazienza, in fondo, sia solo un cavaliere impavido che lotta per dare seguito alla voracità dei nostri ideali, dei nostri sogni, delle nostre proiezioni. Protegge il nostro strato più ingenuo. La pazienza alimenta la dimensione onirica della nostra veglia e ci permette di continuare a credere in qualcosa, in qualcuno, in ciò che ci aspettiamo di vedere nel mondo.

Avere pazienza significa imparare ad accettare quello che esula dal nostro controllo. Deglutire. Aspettare. Senza perdere entusiasmo e passione. In bilico tra ciò che i nostri percorsi ci mostrano concretamente, e ciò che il nostro pentagramma interiore ci vorrebbe far ascoltare.

Indicativo versus condizionale. Uno scontro fra titani.






Le Gioie fecondano
i Dolori partoriscono
William Blake



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