Si appoggiava con la spalla ad un muretto, con una posa da playboy nello sguardo, e contava i passanti. Aveva fame, di ombre, di cemento, di luce, di futuro. Guarda fuori, guarda dentro, guarda me, guarda te. E tutto il resto, e tutto resta. Sbattuto in faccia come quell’ombrello rotto, come quel telefono in attesa. Un filo consunto dal suo stesso ago, che aveva già intessuto tele di ragno e ne aveva assaporato banchetti. C’è tutto questo tramonto sul giorno che è già alba. Tutti i colori cambiano un secondo dopo l’altro. Quanto spazio troppo spazio regolato dalla ragione che ha più potere di qualsiasi droga. Che si appoggia con ali di farfalla sull’asfalto ruvido e lo incendia di leggerezza. Lasciami fare, lasciami restare, lasciami andare. Prega le religioni che conosci affinché ti diano tregua, prega i fiumi affinché scorrano, i venti affinché soffino, il mare e i cieli affinché ti accolgano, nuda, graffiata, col sale in mano e sulla bocca. Che sia il tempo il maestro di quell...